di Gianluca Maria Tavarelli
Penso che il termine meno adatto per definire questo film su Paolo Borsellino sia fiction, forse perché la parola "fiction" porta con sé un'assonanza con la parola finzione, ci lascia la sensazione di un qualcosa che è stato inventato, qualcosa che non ha a che fare con la verità, che è finto. Mentre è importante che si sappia che quello che succede in questo film è rigorosamente vero. Che non c'è nulla che sia stato inventato per cercare di emozionare gli spettatori o per accentuare l'eroismo dei protagonisti.
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Credo che fare questo film sia stata una delle esperienze più forti e formative della mia carriera. Non si è trattato solo di "girare un film" da un punto di vista professionale, ma è stata un'esperienza che ha coinvolto direttamente la mia vita, che mi ha fatto riflettere anche su cose che non riguardavano direttamente e strettamente la mafia. Rivedere il materiale di repertorio, risentire i discorsi fatti da Borsellino e Falcone, rileggere i loro scritti o i loro interventi sui giornali è stata un'esperienza molto coinvolgente.
In un certo senso intendo questo film come una canzone d'amore dedicata ai protagonisti di questa storia, a partire da Paolo Borsellino per arrivare ai personaggi minori, quelli che, per motivi narrativi, abbiamo potuto approfondire e raccontare di meno ma che non per questo sono meno grandi ai nostri occhi.